#Crisi
Si fa presto a parlare di crisi. Ma queste non sono tutte uguali. A luglio del 2021, l’allora presidente del consiglio Mario Draghi ebbe a definire la crisi economica del 2020 “senza precedenti nella storia recente. Si è trattato di una recessione causata in gran parte da decisioni prese consapevolmente dai governi” per fronteggiare il dilagare della pandemia. Dargli torto non è poi così difficile. Il prodotto interno lordo del Paese è crollato di oltre il 15% in appena un trimestre. Da allora la crescita è stata comunque sostenuta. Ad oggi l’Italia ha abbondantemente recuperato la perdita tanto che il reddito attuale dopo tre anni è superiore a quello del 2019. Una crisi severa, ma rapida nella soluzione. Non sempre succede così però. Dopo dodici anni dalla crisi del 2008, poco prima che dilagasse la pandemia, l’Italia non aveva ancora recuperato il reddito del 2008. Grosso modo sotto del 5%. Una crisi molto meno severa, ma molto più duratura. Infatti, dura ancora.
#BCE
L’inflazione è al 9, dopo aver toccato il 12%. Ne conosciamo la causa. L’impennata del costo delle materie e dell’energia, ulteriormente alimentata dalle sanzioni alla Russia conseguenti alla guerra in Ucraina. In un anno la Banca Centrale Europea ha aumentato i tassi di interesse del 2,5%. Le banche che tengono depositati i soldi in BCE sono remunerate al 2,5% contro lo zero di un anno fa. Chi chiede soldi Francoforte deve pagare il 3% contro lo 0,5% di inizio 2022. Se la richiesta di soldi è urgente, il costo sale al 3,25% contro lo 0,75% di un anno fa. La critica di molti economisti è feroce. Perché aumentare i tassi di interesse se i prezzi salgono per la mancanza di energia o di materie prime? L’argomento è sensato. Ma Francoforte non può fare altrimenti. Quando i prezzi salgono tutti guardano a cosa fa la banca centrale. E se questa non fa nulla, gli operatori ritengono che i prezzi aumenteranno ancora ed aumentano i listini per incorporare i prossimi aumenti. Un circolo vizioso. Si chiama disancoraggio. Bel problema.
#Superbonus
Si è molto parlato in queste settimane della controversa decisione del governo a proposito dello stop alla cedibilità dei crediti di imposta. Cosa che di fatto ha certificato la morte del superbonus. Le imprese hanno i cassetti fiscali pieni e le casse vuote. Possono pagare regolarmente i contributi compensandoli con i crediti di imposta. Ma fanno fatica a pagare gli stipendi. Si è disquisito di criteri contabili Eurostat a proposito di deficit e debito. Sono stati riscritti i bilanci degli ultimi due anni. Ma come diceva Giovanni Falcone: “follow the money”. Segui i soldi. Come riportato dal Sole 24 Ore, “il segnale più importante arriva dalla drastica accelerata delle compensazioni, salite ad un ritmo vertiginoso che aiuta a spiegare il modo brusco con cui il governo ha chiuso le porte”. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio segnala che nei primi due mesi del 2023 sono stati compensati 4,6 miliardi. È un mancato gettito di imposte. Una somma pari alle compensazioni di tutto il 2022. Fate un po’ i conti.
#Investimenti
Il PIL dell’Italia, ne parlavamo prima, nel 2022 ha più che recuperato il livello pre-pandemia. Misurando il tutto a livelli di prezzo concatenati al 2015 scopriamo qualcosa di non scontato. Premessa doverosa. Il PIL è dato dalla somma algebrica di alcune componenti: (1) i consumi delle famiglie e della Pubblica Amministrazione (salari, e acquisti), cui si sommano (2) gli investimenti delle imprese in macchinari e magazzino, cui si aggiungono infine le esportazioni (al netto delle importazioni). Quest’ultimo è il cosiddetto saldo con l’estero. L’Italia ha stabilmente registrato negli ultimi anni un costante avanzo commerciale di 40-50 miliardi ogni anno. Con l’impennata dei prezzi dell’energia e delle materie prime, che importiamo abbondantemente dall’estero, negli ultimi tre anni abbiamo avuto una diminuzione di questa componente. -23 miliardi in 3 anni. Anche i consumi sono diminuiti di circa 15 miliardi. Ciò che ha tenuto in piedi l’economia è l’incremento degli investimenti di 61 miliardi. L’altra faccia, quella buona, del superbonus.
#Sanzioni
La pubblicazione in febbraio delle previsioni invernali sull’economia ad opera della Commissione UE consente di fare riflessioni interessanti. Soprattutto se confrontate con quelle dell’anno scorso. Ad inizio 2022, Bruxelles prevedeva un incremento del reddito tedesco di poco superiore al 3,5% per il 2022. In realtà si è fermato sotto il 2%. Identica era la previsione per la Francia; che però in realtà ha visto aumentare il reddito in misura di poco superiore al 2,5%. L’Italia tutto sommato ha tenuto botta. Doveva crescere in misura di poco superiore al 4% ed ha chiuso il 2022 di poco sotto questa soglia. La Germania paga più di ogni altro il taglio del cordone ombelicale che la legava a Mosca quanto alla fornitura di gas. La Francia paga a caro prezzo lo stop a molte centrali nucleari per operazioni di manutenzione straordinaria non più rimandabili. Cosa che ha di fatto trasformato Parigi in importatore netto di energia. Una vera stranezza per l’economia francese. L’Italietta non è poi così Italietta.